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Toxoplasmosi: la colpa non è sempre del gatto

Non appena a poca distanza si trova una donna incinta, moltissime persone cominciano a parlare dei rischi di malattie quali la toxoplasmosi e ad elencare i pericoli che comporterebbe la vicinanza con un gatto per l’eventuale contagio.In pochi anni, quindi, i felini hanno iniziato ad essere considerati molto pericolosi per il futuro nascituro e tenuti lontano nel caso di giovani in stato interessante. Eppure non è sempre così e l’informazione, ancora una volta, è la migliore prevenzione. Poveri mici, insomma, prima scacciati come zanzare se neri, in quanto portatori di “sfortuna” e vicini a streghe e donne dotate di presunti poteri magici e poi, addirittura, fonte di gravi disturbi per un neonato.
Per la precisione, quindi, il gatto è in grado di liberare cisti di toxoplasma con le feci, ovviamente non tutte le volte che soddisfa i propri bisogni fisiologici, ma solo nel caso si trovi già in fase di infezione avanzata. Tale eventualità si verifica soltanto una volta nella vita e per non più di venti giorni. Affinchè avvenga il contagio, quindi, bisogna ingerire inavvertitamente tali sostanze. E’ più facile pensare, quindi, che una persona che aspetti un bambino, decida di seguire le consuete norme igieniche quando pulisce la lettiera o, meglio, affidi il compito, momentaneamente, a qualcun altro. Le mani, chiaramente, vanno lavate subito dopo e il rischio sarà praticamente nullo.

Ancora, bisogna sapere che queste cisti si infettano tramite l’emissione di spore, cioè dopo 24 ore di permanenza a temperatura ambiente. A questo punto, l’eliminazione quotidiana scongiurerà che tale fenomeno avvenga. In ogni caso, è scientificamente provato che anche fare del semplice giardinaggio e mangiare della frutta non lavata bene, può provocare la malattia. Altre fonti di rischio sono pure le carni, non soltanto crude ma anche sotto forma di carpaccio ad esempio, di bistecca poco cotta o al sangue, di salsicce, di salumi, di carni precotte e il consumo di latte non pastorizzato.

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