L’unicorno asiatico esiste davvero? Di certo è esistito: questo infatti è il nome alternativo con cui è conosciuto il saola, un mammifero tra i più rari al mondo.
Cosa sappiamo dell’unicorno asiatico?
In realtà, l’unicorno asiatico potrebbe essere già estinto, sebbene un nuovo studio sia riuscito a sequenziarne il DNA per la prima volta. Offrendo così una vera e propria speranza per un eventuale programma di riproduzione futura in cattività.
Ovviamente, partendo dal presupposto di riuscire a trovare un esemplare ancora in vita. Parliamo di un animale che viveva (e potrebbe ancora trovarsi) sulla catena dell’Annamita, situata al confine tra Laos e Vietnam. Il saola è soprannominato “unicorno asiatico” più che altro per via della sua presenza sfuggente, quasi leggendaria, piuttosto che per il corno. In realtà, infatti, ne possiede due.
Se andiamo a consultare la letteratura sul tema, scopriamo che la sua esistenza è stata ufficialmente certificata solo trent’anni fa. Negli anni ’90, quando fu scoperto, venne subito inserito tra gli animali in via di estinzione. Non si ha certezza di quanti esemplari siano effettivamente sopravvissuti.
Gli scienziati ritengono che ne rimangano probabilmente poco più di una manciata, dato che l’ultimo avvistamento documentato risale al 2013 grazie a una fototrappola. Lo Pseudoryx nghetinhensis è un animale appartenente alla famiglia dei bovidi che ricorda vagamente un’antilope e che gli esperti continuano a cercare, soprattutto in foreste praticamente prive di presenza umana.
Sarebbe possibile preservare la specie in cattività
Non vi sono prove certe della sua attuale esistenza, ma i ricercatori ritengono che vi siano buone speranze in tal senso, rafforzate anche dal recente sequenziamento completo del DNA, documentato sulla rivista scientifica Cell.
Una vera e propria impresa, condotta da ricercatori di diversa provenienza, basata sull’analisi di resti dell’animale conservati da alcuni cacciatori locali, come zoccoli, esemplari impagliati e pelli.
Un lavoro che potrebbe consentire, in futuro, di lavorare alla preservazione del saola, nel caso fosse effettivamente ancora presente sul pianeta. Lo studio ha rivelato l’esistenza di due popolazioni geneticamente distinte, separate a livello riproduttivo da migliaia di anni. E, nonostante fossero già in declino a margine dell’ultima era glaciale, la ricerca ha mostrato come esista una variabilità genetica ben conservata.
Riuscire a trovare esemplari di entrambe le popolazioni potrebbe addirittura consentire incroci volti a rafforzare la specie, aumentando la diversità genetica. Riprodurre in cattività l’unicorno asiatico permetterebbe di garantirne la sopravvivenza a lungo termine, salvando così la specie. Questo approccio è già stato utilizzato con successo per animali come il condor della California, il bisonte europeo e il cavallo di Przewalski.