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La rabbia torna in Italia

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C’è grande preoccupazione tra i veterinari italiani per il ritorno di una malattia che si considerava debellata: la rabbia. Molti casi di rabbia si sono verificati soprattutto nelle regioni del Nord Est, dopo ben 15 anni che casi simili non si manifestavano. Per sensibilizzare i professionisti del settore e la popolazione su tale problematica è stata indetta una giornata studio intitolata Che rabbia, attualità e prospettive.

Lo studio è stato organizzato dalla Società italiana di medicina veterinaria preventiva (Simevep), con il patrocinio dell’assemblea legislativa della Regione Emilia Romagna e della Facoltà di veterinaria dell’università di Bologna ed è in programma al Centro ricerche marine di Cesenatico per questo 12 marzo. La nuova rabbia si preannuncia come una malattia diversa dai ceppi precedentemente studiati, con tempi di diffusione sconosciuti e pericolosi.

Tale infezione per ora si è manifestata nelle volpi ma c’è il rischio concreto che la malattia si diffonda anche agli animali domestici e nell”uomo. Dalle prime avvisaglie in Friuli, la rabbia si è rapidamente propagata in Veneto ed in Trentino: è evidente come le vecchie misure per il contenimento della malattia siano venute meno o siano inefficaci. La prevenzione è certamente il primo strumento per contrastare la diffusione di una malattia che in passato ha mietuto parecchie vittime, animali e non.

La cosiddetta rabbia silvestre (quella delle volpi) rappresenta l’anello di congiunzione con la rabbia che colpisce gli animali domestici o da affezione, principalmente i cani che, a loro volta con la saliva infetta, contagiano l’uomo. Già lo scorso anno un bassotto, quindi un cane casalingo, curato e controllato, manifestò i sintomi della malattia: un caso isolato al quale oggi se ne sono aggiunti molti altri.

In attesa di scoprire quali siano le disposizioni del ministero della salute in tale senso, ci si auspica che il fenomeno venga quanto meno contenuto, o che comunque siano attivate delle misure urgenti per evitare che una malattia debellata possa tornara a fare paura.

5 commenti su “La rabbia torna in Italia”

  1. Caro Simone,da studente 25enne ormai prssmioo alla Laurea Specialistica condivido molto di quello che hai detto a tuo nipote, soprattutto l’idea che con proteste non violente ben organizzate (mi piace molto quella dell’assedio pacifico proposta nei commenti) si possa avere piu’ evidenza mediatica (anche internazionale) e di natura piu’ sana che con gesti di violenza che, anche per coloro che non sono nettamente schierati contro, indubbiamente presenta una natura deplorevole e di conseguenza puo’ essere strumentalizzata contro il movimento e le iniziative giuste a favore di una causa che, checche’ ne dicano coloro che appoggiano questa maggioranza, e’ condivisa dalla maggior parte degli studenti, dei ricercatori, dei dottorandi e dei docenti.Ad ogni modo, cio’ su cui non sono d’accordo e’ il discorso iniziale sul fatto che suo nipote non fa’ differenza tra rabbia e indignazione, e che non possa invocare la rabbia (che comunque non giustifica, ma almeno spiega e distribuisce la responsabilita’ anche a chi ha condotto alla violenza negando il dialogo costruttivo e pacifico negli ultimi 2 anni) che ha generato la violenza esplosa il 14. Lei dice che suo nipote non prova ancora sulla pelle questi problemi, e’ uno studente e in quanto tale ha una famiglia d’origine che lo accoglie e lo supporta e gli fornisce un posto dove vivere e dormire, non ha un mutuo, non e’ ancora un precario, etc.Io sono un 25enne, nato e vissuto per 19 anni in Sardegna, studente di ingegneria fuori sede al Politecnico di Torino (che dal punto di vista economico non e’ di sicuro tra le piu’ sofferenti universita’, ne’ tra le peggio amministrate). Anche io avevo alle spalle una famiglia, gia’ con mutuo, che con singolo stipendio da dipendente statale non aveva modo di supportare economicamente i miei studi, e ho potuto iniziare l’universita’ soltanto grazie alla borsa di studio dell’Edisu Piemonte e poi lavorando part-time durante la specialistica, una volta perso, per reddito del nucleo familiare d’origine e non per demerito, tale borsa di studio alla specialistica. Un posto dove dormire e il vitto non erano inclusi nella famiglia di origine, anzi per piu’ di meta’ della mia carriera universitaria la famiglia d’origine suo malgrado ha costituito piu’ un peso che un aiuto in quanto ha influito pesantemente col suo reddito e col possesso dell’abitazione d’origine sui requisiti per le borse di studio e sullo stabilire l’ammontare delle tasse universitarie.Lavorare part-time durante l’universita’ significa quasi necessariamente andare fuori corso e purtroppo fare la stagione da cameriere per pagare almeno le tasse universitarie in genere non e’ una opzione possibile quando si hanno appelli sino a fine luglio e poi di nuovo da fine agosto.Fuori sede come me ne ho conosciuti tanti e, soprattutto nelle grandi universita’ come quella che ho frequentato, hanno una altissima incidenza sul totale degli iscritti. Ma ancora non basta perche’ nelle stesse condizioni ho incontrato tanti altri studenti che spesso non vengono chiamati fuori sede , ma al massimo pendolari , per via della (relativamente) limitata distanza tra la propria residenza d’origine e l’universita’ frequentata, distanza che per quanto considerata limitata, di fatto rendeva impossibile e antieconomico conciliare la frequenza, lo studio e tutte le altre attivita’ che sono comunque necessarie alla formazione dell’individuo al di fuori dell’universita’ (leggi sport, interazione sociale e non necessariamente feste e gozzovigli).In primo luogo io penso che tutte queste categorie di studenti (che non saranno la maggioranza, ma hanno comunque un’altissima incidenza) da questa riforma subiscono gia’ oggi sulla pelle un danno enorme, perche’ tagliare del 90% i fondi per le borse di studio significa che alla maggior parte di questi studenti si nega il diritto allo studio. Io per primo, se non avessi potuto usufruire delle borse di studio (che sono tra le prime cose che sono strettamente correlate al merito, anche se la ministra sembra dimenticarsene quando dice che questa riforma promuove il merito), non avrei potuto accedere, nonostante il desiderio e le capacita’, a un grado di istruzione superiore.Ma anche ignorando i problemi aggiuntivi degli studenti fuori sede o pseudo- pendolari , continuo a non condividere che suo nipote non subisce sulla pelle il danno di questa riforma: anche lui, come tutti gli studenti dallo scorso anno accademico, subisce ritardi, appelli e corsi saltati, sessioni di laurea cancellate, didattica ridotta, un ridotto numero di ore di insegnamento, laboratori e consulenze, perche’ i ricercatori, su cui almeno dal 2004 (da quando ho esperienza diretta) le universita’ hanno fatto affidamento per la didattica, protestano (con giusta rabbia e indignazione) contro una riforma che di fatto blocca la ricerca e non offre valide alternative per chi nella vita vuole fare ricerca e didattica nell’universita’.Chi, se non gli studenti, subisce sulla pelle il fatto che ancor prima di affacciarsi sul mondo del lavoro, vedono promosso, attorno al loro presente e futuro, un sistema basato sul lavoro precario e sacche di disoccupazione sfruttate per l’abbattimento dei diritti dei lavoratori?Forse non subiscono sulla pelle anche gli studenti come suo nipote il fatto che fanno sacrifici e sforzi per costruirsi il futuro, mentre politici bipartisan, incapaci quando non collusi o in malafede, continuino a far si’ che la pressione fiscale sui loro (futuri ed eventuali) impieghi continui a crescere a fronte di servizi scarsi, scadenti e sempre piu’ limitati, o che gli amministratori locali (e non) ipotechino senza possibilita’ d’appello il futuro loro e delle loro future famiglie, con mutui, prestiti e cattivi investimenti da pagarsi tra 10 anni o piu’ per coprire gli ammanchi causati dalla cattiva gestione o da interessi criminali, o che per la situazione attuale e il suo progessivo deterioramento sia impossibile pensare a far famiglia con qualche certezza economica prima di essere quarantenni, o ancora che di fatto chi oggi inizia, continua o finisce l’universita’ di fatto e’ gia’ condannato per il resto del suo futuro lavorativo a pagare contributi a malapena sufficenti a coprire le pensioni delle generazioni precedenti?Dalle elementari alle scuole superiori ci e’ stato insegnato a rispettare e ad apprezzare la nostra Costituzione, una delle piu’ avanzate al mondo, una di quelle con piu’ diritti e garanzie, un testo non fatto di morte macchie di inschiostro su carta, ma di vive parole volte sia a garantire passato e presente che a sollecitare innovazione e miglioramento per il futuro: noi studenti, per forza di cose, siamo portati ad essere piu’ interessati al futuro che i rappresentanti eletti principalmente dai nostri nonni, genitori e zii (per ragioni di sviluppo democratico e di attaccamento alle poltrone siamo tra i paesi con i rappresentanti piu’ anziani, dove gli studenti universitari, sebbene anagraficamente votanti hanno pochissima rappresentazione politica, se non addirittura nulla) dovrebbero essere chiamati a tutelare, garantire e migliorare; vedere che invece quella Costituzione che rappresenta un importante patto generazionale viene non soltanto disattesa per quanto riguarda il futuro, ma anche tradita per quanto riguarda passato e presente di tutte quelle altre realta’ che il 14 erano insieme agli studenti in piazza a protestare: c’erano ricercatori, c’erano docenti, c’erano precari, disoccupati e cassintegrati, c’erano terremotati aquilani, c’erano campani che da 16 anni subiscono l’emergenza rifiuti e il malgoverno, c’erano le loro famiglie.

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  2. Veneto la Banca d Italia segnala che nel 2016 le condizioni dell economia in quest area sono migliorate in maniera significativa grazie al consolidamento di consumi ed investimenti e grazie alla tenuta delle esportazioni .

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